«Hey, uhm… Le tue lezioni di danza…» Una piccola pausa, la benché minima idea di come formulare la parte finale di quella richiesta. «…Sono aperte al pubblico?»

...Io d-da bambino desideravo d-diventare grande velocemente perché così f-forse...perché così forse sarebbe stato più facile sopportare le male lingue, i bulli, gli sguardi pietosi.»
Una rivelazione così, le strinse il cuore.
Aveva pensato a lui in tanti modi, ma immaginarselo adesso con qualche anno di meno, un'insicurezza maggiore e un mondo di persone che forse gli rendevano la vita impossibile per via del suo modo di parlare, le fece salire un magone in gola.

«Senpai io...» Esordì, prima che l'occasione le scivolasse dalle mani per colpa della suoneria del cellulare. Sentendo il nome di suoi cugino, roteò gli occhi al cielo e si afflosciò sulla panca, evidentemente scocciata.

«Perchè dici così? Non c'è niente che ti rende felice?»

«Io ti trovo m... molto carino anche quando ba...» Si morse la lingua e lo fissò nuovamente allarmata. Non sapeva se le era permesso dire quella parola. La riteneva offensiva? Era un nervo scoperto da non poter toccare? Che altro verbo avrebbe dovuto usare se non "balbettare"? «...Beh quando hai qualche problemino ad esprimerti...»

Si sentì picchiettare sulla spalla e aprì piano gli occhi, per ritrovare il viso di Ai che lo guardava. Le sorrise beato mentre si rimetteva dritto e allungava le braccia per sgranchirsi. I viaggi in autobus erano piuttosto soporiferi per lui, soprattutto se accanto aveva la sua dolce metà da abbracciare - e su cui dormire.

L'ammonimento di Ai era più che giustificato, ma l'orgoglioso Tanabe non avrebbe mai ammesso che i suoi modi potessero essere fraintesi per "antipatia". Lui si riteneva semplicemente un tipo molto schietto. Se poi alle persone non piaceva sentirsi dire in faccia la verità senza tanti giri di parole, il problema non era certo il suo.

«Mi hai mentito.»
«Pensavo te ne saresti accorto un po' prima.»
«Infatti. Ma non sono riuscito a rintracciarti. Cosa ce l'hai a fare il cellulare?»
«Forse non volevo essere disturbata, no?»
«Non parlarmi così, signorina.»

«Non mettere lui in mezzo! Non l'ho disturbato! Sono solo venuta a vedere se era tutto ok. Non faccio la finta tonta io. Quando vedo che qualcosa non va, me ne interesso! A differenza tua che hai occhi solo per te e per Ai!»

«Rin.» Disse, Hiro, alla fine. Ponderò per bene le parole, tenendo ben a mente di cosa si era raccomandata Ai. «Mi dispiace che la pensi così, ma ti stai comportando da bambina. Smettila e fatti gli affari tuoi.» Fu rude e diretto. Esattamente il contrario di quanto avrebbe voluto essere e dire che si era sforzato di non risponderle così!

«Ma questi sono affari miei!» Obiettò lei, infuriata. «Voi due non ne parlate, ma è evidente che c'è qualcosa che non va negli ultimi tempi! Solo che sembra non importi a nessuno! Beh a me importa! Quindi smettetela voi!»

Armani s’era vista costretta a privare lui di immensi quantitativi di libero spazio all’interno del quale poter scorrazzare a causa dei numerosi danni che i suoi artigli arrecarono al mobilio di casa Foster. Era sostanzialmente la sola camera della bionda, l’unica all’interno della quale era lui pienamente concesso d’esprimere sé stesso; immaginate conseguentemente quale immenso shock fu ad esempio, per la bella Foster, quello di dover insegnare lui a deporre i propri bisogni all’interno d’una lettiera per gatti. Copiose e spaventate lacrime furono versate da quegli occhi preventivamente coperti da occhiali protettivi in plastica, mentre successivi impianti di potente profumazione furono da lei precariamente installati attorno alla odorante postazione. E ancora, l’ambiente dapprima strategicamente adornato seguendo i dettami modaioli del momento dovette forzatamente essere modificato in un qualcosa di più… cat-proof.
Tremendamente antiestetico, agli esagerati occhi di lei.

Opzione che rischiò un paio di volte di divenire realtà, considerando la rabbia di suo fratello con riguardo a sparuti ma sostanziosi incidenti di percorso per quel che riguardava l’educazione di Oscar pre confinamento in camera di Armani.
Episodi dal riassunto non esattamente necessario.

Oscar De La Renta stava ai suoi piedi, il pelo particolarmente arruffato a causa dell’impervia lotta intrapresa con quello che risultò essere un calzino nero appartenente a Dominic; pazzesco come simili creature riuscissero a trovare del sano divertimento in ogni cosa, perfino –e soprattutto- in quelle sulle quali pendevano minacce pressoché mortali da parte di terzi. Ogni riferimento a Dominic Cesar Foster è, ovviamente, del tutto casuale.

Eccola conseguentemente sfruttare il proprio costosissimo smartphone senza sosta

«Cosa? No! Sei impazzito? Abbiamo ancora una marea di cose da comprare!» Fu la risposta di lei, gli occhi increduli rivolti a lui e la mano teatralmente posta sul petto quasi a voler figurare il suo doloroso sgomento in merito ad una simile possibilità.

«Sai, alla tua carta di credito fra poco verrà uno stiramento...» Ennesimo tentativo non esattamente andato in porto: Armani individuò il volto di lui al di là dei mille ingombri, le spalle che si abbassarono e il capo che si piegò d’un lato:
«Sciocchino, cosa credi? Ne ho altre due.»

«Devo assolutamente trovare un altro paio di collarini diamantati, e poi quei […]…» [........]
«Questo coso è dotato di un cuscino in memory foam e di un lenzuolino foderato. E per di più si abbina al mio letto. E Oscar starà benissimo, mhpft.»

«Alec?» Richiamo non realmente rivolto al giovane, quanto piuttosto ai propri rapidi pensieri.
Uno sguardo al nipote, uno alla vetrina. Uno agli abiti da lui indossati, uno alla vetrina.
Uno agli occhi di lui, uno alla vetrina.
Allacciate le cinture, gente.
«ODDIO, ALEC!»

«Compriamo qualcosa anche per te, vuoi? Una maglietta, un paio di pantaloni, un paio di scarpe, o…» [..........]
«O uno smoking, sì. Uno per il ballo della scuola. Ci vai ancora a scuola, no? Dovrai pur prenderne uno, prima o poi. Ricorda di riferire alla ragazza che inviterai gli esatti colori che acquisteremo; sai, per gli abbinamenti. Ce l’hai la ragazza, no?»